06 Ott Dottoressa ho sognato … uno scambio di scarpe
Uno scambio di scarpe
È sera. Sono al mare, sulla terrazza di un ristorante all’aperto, chiuso da vetrate. La cosa strana è che autunno o inverno. Lo deduco dall’abbigliamento dei commensali e dall’atmosfera tipicamente invernale. La terrazza è illuminata da una luce artificiale fredda. Forse è l’ultimo dell’anno, ma non c’è aria di festa. Ci sono tante tavolate silenziose e tanti camerieri che sfrecciano. Al nostro tavolo siamo in sei amici. Pur essendo al ristorante, ha cucinato mio marito: cotechino, lenticchie e zucchine bollite. Mangiamo Senza parlare. Nessuno commenta le pietanze con le frasi tipiche di circostanza: che bravo! Che buono! Ne deduco che non hanno apprezzato. Al momento di andarcene, cerco le mie scarpe, come se fosse la cosa più naturale del mondo essermele tolte e averle lasciate da qualche parte. Con disappunto scopro che me le hanno scambiate. Mi ritrovo un paio di stivaletti neri, di pelle e camoscio, molto vissuti, scoloriti in punta, da badante ucraina in libera uscita. E mi imbufalisco.
Pillole di teoria
Strana atmosfera quella del sogno: niente sembra essere al posto giusto. A partire dall’ambientazione, che poi è un luogo del mondo interno della sognatrice. La scena si svolge in una terrazza sul mare, ma del mare non c’è traccia. Non c’è sole, non c’è tepore, non c’è aria di mare. L’atmosfera è brumosa, quasi autunnale. La terrazza è chiusa da vetrate: un ossimoro. Che senso ha stare imbacuccati su una terrazza se non puoi goderne i vantaggi? Non solo. L’ambiente, poco accogliente, è illuminato da una luce artificiale fredda, forse al neon. Insomma per un cenone di San Silvestro si è visto di meglio. Soprattutto non c’è aria di festa. I commensali sono silenziosi, non si parlano. Mangiano, guardando nel piatto, del cibo triste che ricorda vagamente quello propinato dagli ospedali. Come le zucchine bollite. E che per giunta hanno cucinato loro a casa. Si sente solo il fruscio dei passi dei camerieri che sfrecciano con i piatti di portata. Sembra il set cinematografico di un film neorealista. L’unico guizzo di vita, in questa atmosfera cupa e mortifera, si coglie sul finale. Quando la protagonista fa per rimettersi le scarpe e scopre che gliele hanno scambiate. Neanche a dirlo, nello scambio ci ha rimesso. Infatti se ne trova un paio scadenti, consumate in punta, del tipo che più detesta, che le ricordano quelle di una badante ucraina in libera uscita. Qui si percepisce una rabbia forte: cosa sta cercando di comunicare il mondo interno alla sognatrice? Che non vuole diventare la badante di nessuno? Che non si sente radicata a terra in questo momento della sua vita? Che niente va per il verso giusto? Che si aspetta qualche parola di conforto che non arriva: nessuno si complimenta a tavola. Ne deduco che non deve essere un momento facile della sua vita. A dispetto della quantità di gente da cui è circondata, il senso di solitudine è palpabile.