Vermiglio di Maura Delpero

La vicenda è ambientata a Vermiglio, un paesino di confine del Trentino Alto Adige verso la fine della Seconda guerra mondiale. È una piccola comunità operosa, ripiegata su se stessa, dove il pregiudizio e la superstizione la fanno da padroni. Pochi sono gli scambi col mondo esterno e tutti in qualche misura mediati dalla guerra. Lettere che arrivano o non arrivano dal fronte con le notizie dei giovani soldati. Soldati feriti che cercano riparo. Su tutti spicca la figura del maestro: taciturno, irreprensibile, serio, algido, di un’eleganza impeccabile, il cui parere viene tenuto in grande considerazione dalla famiglia e dalla comunità. Che combatte quotidianamente l’analfabetismo insegnando a ragazzi di tutte le età radunati in un’unica classe. E anche agli adulti. Che sfida la diffidenza verso lo straniero, ospitando un paio di militari gravemente feriti, che attendono la fine della guerra da disertori. Che considera la musica classica cibo per anima, tanto da educarne i suoi alunni all’ascolto. Che li Invita ad esprimere pensieri e sentimenti che li attraversano, cui dedica un ascolto rispettoso e un interesse genuino, nonostante il lessico povero e sgrammaticato. Che accetta di buon grado di maritare la figlia maggiore con l’ uomo che ama, venuto da lontano. Ciò che stride fortemente è che da una persona così illuminata non ci si aspetta che ingravidi la moglie ogni anno. Che scelga lui l’unica figlia cui fare continuare gli studi. Precisamente quella che ha il cervello fino come il suo. Mentre alle altre non lo consente, perché le ritiene intellettualmente modeste. E poi i soldi non bastano. Che detesti profondamente il figlio maggiore, perché ogni tanto si concede qualche bevuta di troppo, mentre lui ha un approccio calvinista alla vita. La trasgressione è limitata ad un album di foto osé, riposto in un cassetto della scrivania, chiuso da una chiave, nascosta sotto un tappeto. Non solo. Lo rimprovera aspramente per aver regalato alla madre, che ha appena partorito, un mazzo di fiori, colto dall’albero del vicino. E alla moglie che per la prima volta si ribella, ricordandogli che lui non ha mai avuto un simile pensiero, risponde che deve essere impazzita a causa del parto, per denigrarlo così davanti ai figli.

Penso che la regista rifletta sulla fatica che hanno sempre fatto le donne per conquistarsi i propri diritti. Senza mai perdere la speranza, come le protagoniste del film. E ci parla inoltre delle contraddizioni che abitano anche le persone più rispettabili, talvolta così permeate di una certa cultura retriva, da diventare acritiche. Delizioso il parlottare dei bambini in dialetto, la sera prima di addormentasi, che fa da cassa di risonanza alle verità scomode e sottaciute degli adulti.



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